Libri... e Racconti


 da " I ricordi di Marco "

I
Marco era seduto alla sua scrivania nello studio che sarebbe dovuto essere stato di suo padre ma che, in realtà, era  ormai divenuto il suo da quando ospitava il suo pc e da quando lui si era inoltrato nel mondo dell’università che frequentava da ormai  quasi 3 anni. Seduto a quella scrivania aveva anche preparato il suo ultimo esame, una sfida che aveva brillantemente superato: un bel 30 in matematica finanziaria , il  primo 30 conseguito nella sua carriera universitaria. Rifletteva e pensava alla sfida più importante, forse la più importante che la vita gli avrebbe riservato (questo ancora non lo sapeva) ma di certo la più dura che aveva affrontato nella sua giovane vita.  Lì mentre era  seduto alla sua scrivania ricordando e  riflettendo su quegli ultimi mesi i suoi occhi  si erano riempiti di lacrime, un pianto liberatorio mentre era lì da solo e finalmente poteva dare libero sfogo a tutte le sue emozioni, a quella paura, quella tensione trattenuta in tutti quei lunghi mesi trascorsi nelle cure che aveva dovuto affrontare per superare la  malattia che lo aveva colpito mentre ancora ragazzo si accingeva ad affrontare le difficoltà della vita.  Lacrime trattenute mentre dava coraggio ai suoi genitori alle persone che gli erano state attorno in quei difficili momenti. Ricordò quasi sorridendo le prime parole che, vedendoli entrare, lui e i suoi genitori , aveva rivolto loro quell’eminente professore di Roma, una persona dall’aspetto quasi buffo , una persona alta poco meno di sua madre, che aveva sentito nominare spesso e visto qualche volta ospite in tv, nel salotto di un noto conduttore televisivo. Quel “ Signora si tolga dalla faccia quell’aria da funerale di terza classe “  gli ritorno nelle orecchie e gli sembrò quasi che fosse stato lo stesso professore a pronunciarle col suo tono bonario e rassicurante. Poi quel professore, dopo aver letto tutta la documentazione lo aveva ulteriormente rassicurato dicendogli chela sua malattia era tra quelle curabili che, per sua  fortuna era successo allora e non pochi anni prima in cui per il suo caso non ci sarebbe stato molto da fare. Doveva ringraziare i progressi della scienza, gli studi di tanti professori, forse anche loro buffi come lo era l’aspetto di quello che lui aveva consultato e che tanto si prodigava non solo nel curare tante persone che dovevano affrontare mali come il suo, non tutti con la possibilità di superarlo come era successo a lui, ma anche, nello studiare tante malattie e nel ricercare, nello scoprire nuove cure che tante persone avrebbero salvato negli anni a venire.
Marco, come in un film, rivisse in quel momento tutti i momenti che avevano caratterizzato la sua malattia, la febbre che era iniziata, lo ricordava bene quel 31 agosto del 1997, una data che sarebbe passata alla storia per la morte di una principessa, la principessa triste, Lady Diana e  che lui avrebbe ora associato al ricordo di quella febbricola iniziata allora, mentre era occupato a vedere in tv le immagini di quello spaventoso incidente avvenuto nel tunnel dell’Alma, a Parigi, che si era portato via le vite della principessa e del suo giovane amante, e che non aveva voluto abbandonarlo nonostante le iniezioni di antibiotico e di vaccino che aveva  preso per quasi un mese e mezzo e di cui nessun medico che lo aveva visitato era riuscito a capire la ragione, almeno fino a quando  una radiografia al torace aveva portato alla luce il problema. Ricordava bene quel giorno, quel momento in cui ora, quando ormai tutto era alle spalle, aveva preso la decisione che ora riteneva più giusta quella di sapere, di affrontare la realtà della malattia in prima persona, di non lasciare che altri lo facessero al suo posto nascondendogli la realtà e tenendolo all’oscuro di tutto, Ricordava il viso triste di sua madre mentre rientravano a casa dopo aver parlato col radiologo, la madre che gli diceva di salire, lui che iniziava a fare le scale con quel peso, quella sensazione che ci fosse qualcosa che non andava negli occhi di sua madre, la decisione presa allora di tornare indietro, di irrompere nell’ufficio dove la madre e lo zio stavano  parlando e di chiedere, di voler sapere tutto. Da allora era stato lui a non mostrare la paura, a trattenere le proprie emozioni, a rassicurare i suoi genitori che ce l’avrebbe fatta che dovevano essere sereni che la forza di volontà il non abbattersi, il non cedere di fronte alle difficoltà della vita era fondamentale per superare tutto e vincere la battaglia e ce l’aveva fatta. Aveva affrontato e vinto la sua battagli più importante, senza abbattersi, senza scoraggiarsi, lui che ora ricordava quasi con un sorriso quando da bambino non riposava la notte se il giorno dopo doveva fare un semplice prelievo di sangue. Ora si sentiva più forte, sentiva che quell’esperienza lo aveva segnato nel fisico ma anche nell’animo. Nell’animo, però, lo aveva segnato in positivo dandogli coraggio,  consapevolezza, fiducia in sé stesso, sentiva che ora era in grado di affrontare e vincere le difficoltà della vita. Si sentiva un uomo nuovo diverso e quelle lacrime che ora gli rigavano erano ora uno sfogare le tensioni, quasi lacrime di gioia con cui urlava a se stesso che aveva vinto e che ora era un uomo nuovo, diverso e più forte.

A. F.

 II


Marco era seduto a riflettere su quella frase che la persona che, si era reso conto, era a lui più cara gli aveva rivolto il giorno prima per telefono. Si sentiva deluso, non solo per quella frase ma soprattutto con sé stesso. Era passato un anno da quando aveva superato la sua malattia ed ora tutto il suo coraggio era venuto lentamente a mancare, scacciato dalla sua mente dalla sua proverbiale timidezza, dalla sua “goffaggine”, dalla sua mancanza di simpatia. Si era sempre visto un po’ noioso, una persona incapace di far divertire, di attirare l’attenzione e gli scherzi di amici e amiche.  Aveva sempre guardato con tristezza le persone, i suoi amici che, anche non essendo belli esteticamente, riuscivano ad attirare l’attenzione degli altri, ma soprattutto delle altre ragazze. Lui no! Questo non era mai stato in grado di farlo …. si sentiva goffo e impacciato, vinto dalla sua timidezza, da quel suo aspetto goffo, con quegli enormi occhiali ed i suoi occhi che andavano ognuno per i fatti suoi a causa del suo strabismo e della sua forte miopia. Quegli stessi occhi che, ironia della sorte, erano davvero belli, di un bel colore azzurrino chiaro, cerulei ma nessuno lo notava dietro i suoi spessi occhiali. Solo una sua compagna di classe un giorno, così quasi per caso, gli aveva fatto questo complimento. Di complimenti, a dire il vero, non ne aveva certo ricevuti molti nella sua vita, non era di certo una persona che li attirava e solo poche persone riuscivano a leggere dietro quel suo apparire chiuso e taciturno. O almeno lo era verso chi conosceva poco, o quando si trovava all’interno di un gruppo e finiva per restare in silenzio, ascoltando gli altri ed intervenendo raramente tanto che, spesso, le sue parole ricevevano anche poca attenzione dagli altri. Quando si fidava degli altri o quando riusciva a creare con gli altri un legame più stretto finiva con l’essere l’esatto opposto, un tipo logorroico e, spesso, anche pesante tanto da finire con l’annoiare chi lo ascoltava. Così anche lei era rimasta annoiata quando lui era andato a trovarla e gli aveva detto che la prossima volta sarebbe stato meglio se si fossero organizzati anche con gli altri amici. In realtà, lui avrebbe voluto dirle tante cose ma la sua timidezza aveva finito col vincere ancora e lui le aveva solo confessato che era stato felice di vederla e che sperava di farlo di nuovo presto. Poi quelle parole avevano spezzato qualcosa dentro di lui ed ora si sentiva nuovamente perso.

Si era reso conto così, quasi per caso, di provare un forte sentimento per quella persona. Non c’era stato nessun colpo di fulmine, ad essere sinceri, nessuna attrazione fisica, si era accorto di provare qualcosa avvertendone la sua mancanza,  la mancanza della sua voce, delle sue parole che avrebbe voluto sentire ogni giorno della sua vita ma che, per una regola non scritta della loro amicizia, sentiva solo ogni tanto. Lei era stata per anni la sua migliore amica. La loro amicizia era nata così, quasi per caso. La vita li aveva fatti incontrare perché frequentavano lo stesso posto al mare, poi come succede tra ragazzi o, almeno come succedeva prima dell’avvento di pc e sms, si erano scambiati gli indirizzi e poi, da una cartolina spedita ad una lettera in risposta, la loro amicizia era andata avanti così.  All’inizio, ricordava, le sue lettere erano molto rare, tanto che a volte si era ritrovato a leggere nella risposta “ pensavo non volessi scrivermi più ” …. poi le cose erano un po’ cambiate, avevano iniziato a sentirsi anche telefonicamente e la loro amicizia era diventata qualcosa di più tanto che lui considerava Lara la sua migliore amica e anche lei si considerava la migliore amica di Marco o, per lo meno, sapeva di esserlo. Marco,però, spesso si chiedeva quanto fosse importante lui per Lara … sapeva che abitando lontano Lara aveva altri amici, altri amici del cuore, altri migliori amici e lui era per lei solo un caro amico, diventato il suo confidente, come gli aveva accennato un giorno dopo che avevano parlato tra loro.  Quella frase lo aveva profondamente colpito allora e la ricordava ancora ora ma sentiva che c’era qualcosa che non andava, che era stata come un’affermazione detta come se fosse stato il destino, il caso a volere che lui si trovasse a ricevere le confidenze e l’amicizia di Lara, come se lei non lo avesse cercato per quello ma come se la cosa fosse uscita lì. per caso, come un fungo che spunta nei posti meno adatti solo perché un seme trasportato dal vento lo ha depositato in quel posto. Le loro confidenze, poi, per telefono si erano fatte più personali, si erano scambiati le loro paure, le loro attese di giovani che, diplomati, si apprestano ad affrontare la vita, i loro sogni e le loro incertezze. Lara aveva quello che mancava a Marco, la capacità di far provare emozioni con piccoli gesti, parole dolci, a volte nelle sue lettere gli scriveva piccoli pensieri, poesie che dedicava al suo fidanzato o a sé stessa o, a volte, gli mandava piccoli disegni che lui guardava emozionato e, spesso, riprendeva quelle lettere e le riguardava quei disegni che riuscivano a dargli tanta dolcezza al cuore. Marco avrebbe voluto anche lui riempire le lettere che le scriveva con qualcosa di carino, un pensiero dolce, un disegno ma non era né bravo a disegnare né sentiva che sarebbe stato capace di trovare le parole giuste per trasmettere le sue emozioni e, così, le sue lettere erano sempre fredde. Solo una volta Lara gli aveva chiesto di disegnarle qualcosa e lui ci aveva provato con tutto il suo impegno ma il risultato non era stato dei migliori e, anche se Lei gli aveva detto che il suo disegno le era piaciuto e le aveva dato serenità, Marco non ci aveva creduto molto. Lara gli aveva fatto provare la bellezza di un disegno, con le sue parole gli aveva insegnato ad amare le piccole cose della vita, da un albero in fiore ai fiocchi di neve che scendono bianchi dal cielo, e lui ora sentiva di essere legato profondamente a lei per sempre, anche se la vita li avesse tenuti lontani e lui ora sentiva  che quelle sue parole, “mi sono annoiata “ , erano come un macigno sul suo cuore, un muro che li aveva profondamente divisi. Per ora non sapeva cosa fare, non sapeva se avrebbe trovato la forza di richiamarla, forse avrebbe atteso una risposta all’ultima lettera che le aveva spedito prima di incontrarla. Si chiedeva solo se la vita li avrebbe riavvicinati, se si sarebbe ricreato quel rapporto che lui sentiva era stato spezzato dalle sue parole. Si era sentito rifiutato dalla persona che voleva accanto a sé per sempre ed ora si chiedeva come sarebbe proseguita la sua vita, se sarebbe riuscito a dimenticare quel sentimento che sentiva ancora forte nel suo cuore.
 

Nessun commento:

Posta un commento